Dimmi che bocca hai e ti dirò che vino bevi – con Sara Spinelli di SemioSensory
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In questa puntata parliamo di percezioni, emozioni e comportamenti dei consumatori del vino con Sara Spinelli di SemioSensory che si occupa proprio di questo e sta conducendo con la Società Italiana di Scienze Sensoriali la ricerca “Italian Taste” sulle preferenze alimentari degli italiani.
Ci sono persone che sono più sensibili ad un composto che si chiama PROP, che ha un sapore amaro. Alcuni non lo sentono, proprio non sentono nessun sapore. E’ una cosa abbastanza comune… Quelli che invece hanno un indice di sensibilità alto sentono molto più forti tutte le sensazioni: l’amaro, l’astringente, l’acidità e anche il bruciore, quello legato alla sensazione dell’alcol in bocca. Questa sensibilità potrebbe costituire una barriera al consumo.
Note
Società Italiana di Scienze Sensoriali
Il convegno di psicologia del marketing enologico di Alba
Puoi ascoltare l’intervista audio, cliccando in alto in questo articolo. Qui sotto c’è la completa trascrizione.
Bentrovati a Wine Internet Marketing. In questa puntata parliamo di percezioni e di emozioni nei comportamenti dei consumatori del vino, di neuromarketing del vino . E ho l’ospite giusta oggi, perché con noi c’è Sara Spinelli. Sara è di Prato, è Dottoressa di ricerca in Discipline Semiotiche all’Università di Bologna, collabora con la Sensory Unit dell’Università di Firenze, a ricerche sul ruolo proprio delle emozioni nella percezione dei prodotti, e sullo sviluppo di metodi per lo studio dei comportamenti dei consumatori. È anche consulente, con SemioSensory, e collabora con la Società Italiana di Scienze Sensoriali, che ha sede a Firenze, e in modo particolare si occupa del progetto Italian Taste.
Benvenuta, Sara.
Sara: Grazie. Grazie della presentazione, anche.
Stefano: Grazie a te, Sara. Dunque, cominciamo proprio da Italian Taste, perché questo è un progetto di ricerca che state portando avanti con la Società Italiana di Scienze Sensoriali, ne parlerai anche ad Alba il prossimo 18 febbraio presso la Scuola Enologica, al secondo convegno di psicologia e marketing enologico. Dicci, Sara, che cos’è Italian Taste?
Sara: Sì. Allora, Italian Taste è un progetto molto grande che abbiamo sviluppato all’interno della Società Italiana di Scienze Sensoriali, è un progetto di ricerca, e vorrei dire anche due parole proprio su come è strutturato, perché penso possa essere interessante, perché è basato sul knowledge sharing, quindi…
Stefano: Knowledge sharing… quindi la condivisione di conoscenze, giusto?
Sara: Sì. Conoscenze attraverso… noi siamo un’associazione no-profit e abbiamo tanti soci che sono sia nei centri di ricerca nelle università che nelle aziende, in particolare alimentari, e abbiamo voluto trovare un modo di mettere insieme tutte queste competenze, che erano più applicative o più di ricerca, e proprio questo progetto, che ha l’obiettivo di studiare, costruire un grande database sulle preferenze alimentari e le caratteristiche dei consumatori italiani – per questo si chiama Italian Taste, più il gusto degli Italiani, più che il gusto italiano – e, appunto, abbiamo chiesto ai nostri soci, hanno aderito 22 laboratori in tutta Italia e circa una sessantina di soci e ricercatori, che conducono proprio nei loro laboratori questi test che ci permettono di portare avanti la ricerca, che è strutturata su tre anni e prevede di raccogliere queste informazioni su almeno 3000 soggetti. Quindi è una ricerca molto grande…
Stefano: 3000 soggetti, in particolare, quali sono i prodotti che analizzate?
Sara: Sì, allora, l’interesse è proprio per capire le preferenze alimentari, in generale, degli italiani. Quindi i prodotti che abbiamo considerato all’interno del progetto sono tantissimi e vorrebbero coprire tutti i prodotti a disposizione degli italiani nella loro quotidianità, da quelli più comuni a quelli più rari, più nuovi, più di recente introduzione in Italia.
Stefano: Per esempio? Facci degli esempi.
Sara: Certamente abbiamo il vino, visto che siamo in questo contesto, e anche tanti diversi tipi di verdura, tutta la pasta, carne… tutte le diverse categorie di prodotto abbiamo. E raccogliamo dati sia chiedendo sulle preferenze per i prodotti senza assaggiarli, sia abbiamo anche una parte del test in cui le persone proprio assaggiano diverse varianti di prodotti dove ci sono delle variazioni, per delle sensazioni fondamentali, tipo di amaro, di dolce, di acido. Quindi, sullo stesso prodotto ma con delle differenze di sensazione, per vedere appunto se ci sono differenze di percezione di queste variazioni a livello sensoriale.
Stefano: Ok. Quindi i sensi che cercate di tracciare sono il gusto…?
Sara: Sì. In realtà parte tutto dal gusto, però è un progetto direi multidisciplinare, perché tiene dentro varie prospettive, perché vogliamo da una parte indagare la sensibilità alle sensazioni, in particolare gustative e quelle collegate comunque al gusto, quindi appunto il dolce, l’amaro, l’acido, il salato… poi anche altre come l’astringenza, che sono anche particolarmente importanti per le bevande alcoliche. E, oltre a questo, raccogliamo anche tutta una serie di informazioni che sono invece legate ai tratti psicologici delle persone, quindi ai tratti della personalità, alle attitudini, ai tipi di comportamento, sia in ambito naturale che anche in generale, sono tratti della personalità più generali dell’individuo. Poi raccogliamo delle informazioni genetiche, per vedere la relazione, se c’è, tra predisposizione genetica e lo sviluppo di certe preferenze alimentari e, oltre a questo, abbiamo anche, appunto, per quanto riguarda lo studio delle preferenze, affiancato… raccogliamo alcune informazioni su anche le abitudini di consumo, la frequenza, del consumo di alcuni prodotti che per il gradimento e le preferenze…
Stefano: Un’indagine molto allargata, molto ambiziosa che tiene dentro diversi campi, appunto, di indagine. Dunque, se ho capito bene mi raccontavi, Sara, siete al primo anno del progetto quindi, ecco, state ancora acquisendo la prima parte dei risultati. Quindi non abbiamo ancora ovviamente su questo dei risultati che sono spendibili, però, ecco, puoi anticiparci qualcosa? Almeno quali sono le cose che vi aspettate di trovare e quali sono le relazioni che state indagando?
Sara: Sì, in realtà abbiamo finito, proprio questo mese, la raccolta dei dati del primo anno: abbiamo coinvolto 1275 soggetti, quindi persone che sono venute nei nostri laboratori a partecipare a questi test. E quello che ci interessava, di cui appunto ancora non abbiamo i risultati sul nostro studio, però abbiamo delle ipotesi derivate dagli studi precedenti, che riguardano tra l’altro un aspetto che prima non ho menzionato ma che è fondamentale per il progetto, perché quello da cui è stato mostrato il progetto degli ultimi anni è, per esempio, una relazione forte fra delle sensibilità fisiologiche a dei gusti e lo studio di preferenze per dei prodotti alimentari. Per esempio, anche facendo i casi del vino, è stato mostrato in diversi studi che le persone che sono più sensibili ad un composto che si chiama PROP, che ha un sapore amaro… esiste una serie di persone che sentono, mettono in bocca questa sostanza, non la sentono per niente, proprio non sentono nessun sapore, e si chiamano non-taster. Poi invece ci sono un gruppo di persone che sentono in maniera molto forte questa sostanza… è una cosa abbastanza comune, non è una cosa rara, e le persone che hanno questo indice di sensibilità molto alto, quindi sono super-taster, sentono molto più forti tutte le sensazioni. E in particolare, per esempio, anche l’amaro, l’astringente, l’acidità e anche il bruciore, quello legato alla sensazione dell’alcool in bocca quando si beve una bevanda alcolica, lo sentono molto più forte.
Stefano: Ok, questo è molto interessante. Quindi ci sono, io e te assaggiamo lo stesso vino e sentiamo, proprio abbiamo dei livelli diciamo quantitativi rispetto all’esperienza sensoriale che abbiamo, che sono differenti…
Sara: Sì, sì. Potremo non sentirlo nella stessa maniera.
Stefano: Quindi forse ha ragione anche la mia compagna, quando dice che io ho meno papille gustative di lei, e quindi sento di meno? È una stupidata, oppure c’è del vero?
Sara: Eh, in generale è vero, anche il numero di papille influisce sulla percezione e l’intensità delle sensazioni, e quindi chi ha meno papille tende a sentire meno, e solitamente tende anche a sviluppare più preferenza per alcuni prodotti che sono un po’ più difficili, perché per esempio, sento l’amaro meno forte e quindi mi piace anche se è più amaro, mentre l’amaro di solito crea una barriera. E quello che ci proponiamo, che ci interesserebbe sapere è… perché si son fatti vari studi che mostrano, per esempio nel caso dell’alcool, uno studio ha mostrato che chi ha più papille tende a consumare meno bevande alcoliche proprio perché le sentirebbe più forti le sensazioni e quindi costituirebbe una barriera al consumo. Però questo è stato fatto su uno studio di un numero molto ridotto di persone, e ovviamente in un determinato paese e non è generalizzabile, e quello che vorremmo fare è mettere in relazione questo innanzitutto in Italia, sui consumatori italiani, e poi anche vedere su un numero più grande di persone, intrecciandole e confrontandole con altre risposte, se questa cosa ha un suo valore, se viene confermato, se è collegato anche ad altri aspetti: dico questo perché, per esempio, quest’anno, proprio all’Università di Firenze è stato fatto uno studio sul caffè, sempre misurando il numero di papille e la sensibilità, quello che ho detto prima, il PROP… per esempio, il caffè è una bevanda ovviamente amara dove l’amaro costituisce di solito una barriera al consumo e che quindi fa non piacere il caffè. Però, per esempio, le persone che avevano un più alto numero di papille, gli piaceva di più il caffè, consumavano più caffè. E questo è stato mostrato, che potrebbe sembrare non la cosa più comune, più facile, quella più intuitiva, anzi è il contrario… tutto questo è legato al fatto che queste persone hanno iniziato a consumare il caffè con lo zucchero, quindi associando la sensazione dell’amaro a quella del dolce, e familiarizzando in questa maniera con l’amaro, con questa sensazione del dolce che è naturalmente apprezzato dalle persone, e che ha fatto sì che hanno sviluppato una preferenza anche più forte di chi ha meno papille, quindi un caso proprio particolare di apprendimento di una sensazione insieme a un’altra, che potrebbe essere il caso anche di alcuni prodotti e bevande alcoliche, dove c’è lo zucchero, per esempio, o lo liofilizzante… non lo sappiamo, precisamente, per questo vorremmo anche indagare.
Stefano: Certo. Senti, ma voi riuscite a fare queste cose… allora, tu ci dici che si riescono anche a misurare queste sensazioni, e addirittura le emozioni, no? Che sono anche il tuo campo di indagine e di studio anche precedente a questo progetto che ci hai raccontato. Tu ci dici che è possibile misurare tutto questo, ma poi anche misurare l’emozione del consumatore davanti ad una marca, un’etichetta, un nome, una bottiglia degustata alla cieca… ma, come fate? Cioè, che tipo di rilevatori avete?
Sara: Sì, io, appunto, mi sono occupata molto degli studi sulle emozioni su prodotti alimentari, e i metodi che abbiamo utilizzato e che abbiamo sviluppato sono metodi qualitativi e quantitativi, nel senso che solitamente viene sviluppato un questionario, abbiamo sviluppato una metodologia che, proprio, cerca di mettere insieme le sensazioni, le proprietà sensoriali diciamo, e le emozioni suscitate dai prodotti. Quindi facciamo una prima fase di interviste con le persone che di solito consumano quella categoria di prodotto, usando delle tecniche particolari, di psicologia, cerchiamo di individuare quali sono le emozioni più fortemente associate a quella categoria di prodotto. E dopo facciamo l’analisi di queste interviste e sviluppiamo un questionario, che viene usato invece su un campione più alto di persone, di modo che possiamo raccogliere dei risultati anche quantitativi, quindi su 200-300 persone e possiamo arrivare a definire dei profili emozionali dei prodotti. E abbiamo fatto questo sia guardando a prodotti proprio… si dice blandi, nel senso che vengono valutati senza la loro confezione originale, senza sapere che marca è, senza sapere niente, ma solamente basandosi sull’esperienza sensoriale nell’assaggiarli; sia invece con prodotti presentati con il loro marchio o con il loro luogo di origine, la loro confezione originale, quindi per vedere le emozioni se erano più legate alle proprietà sensoriali stesse del prodotto, di un tipo particolare di cioccolato, per esempio, o di un aroma, oppure invece quelle che erano più collegate al brand, alla marca o alle confezioni.
Stefano: Ok, Sara. Questa cosa mi fa venire in mente anche alcune esperienze, per esempio mi viene in mente quella di Vincenzo Russo, che una volta ha conversato con noi, e quella puntata è disponibile nell’archivio di Wine Internet Marketing, anche lui fa indagini e analisi sensoriali con metodi probabilmente simili ma forse anche diversi rispetto, per esempio, al vino. Le cose che ci racconti hanno una grande attinenza rispetto al mercato, e noi sappiamo che c’è un grande interesse ad individuare delle fasce di consumatori che poi possano essere oggetto di azioni di marketing o di mercato, addirittura nello sviluppo del prodotto. In genere queste fasce si determinano attraverso dei dati socio-demografici, attraverso il profilo reddituale, la capacità di spesa delle persone, l’età, il posto in cui vivono, gli stili di vita, la cultura… ecco, anche voi avete quindi definito dei target, vi agganciate a dei target già definiti nei consumatori, come fate?
Sara: Ma, ora, per ritornare al progetto Italian Taste, in realtà in questo caso, una delle finalità del progetto è proprio quella di costruire questo database su un numero ampio di persone che fa sì che sia possibile, per esempio, suggerire delle segmentazioni tra i soggetti che non siano poi connessi ai punti che hai elencato, che non sono quelle tradizionalmente usate. Cioè, quello che sarebbe l’interesse, sarebbe andare a vedere le differenze individuali, che di solito vengono eliminate negli studi, come se fossero rumore che dà fastidio all’interpretazione. Invece noi vorremmo proprio focalizzarci su quello e vedere se le differenze individuali a livello, per esempio di sensibilità, di tratti fisiologici come quello che ho detto, le papille, oppure tratti genetici o tratti della personalità… se, considerando questi aspetti sia possibile segmentare i soggetti secondo altre logiche e quindi spiegare, caratterizzare in maniera migliore il consumatore, per esempio il consumatore del vino: com’è caratterizzato dal punto di vista di variabili fisiologiche…?
Stefano: Quindi, “dimmi quante papille hai e ti dirò cosa ti piacerà”, un po’ banalizzando insomma…
Sara: Ammesso che non lo sappiamo, in realtà, se le papille spiegano tutto… perché, quando è stato fatto negli studi precedenti, avevano di solito misurato poche variabili, quindi in realtà non sai se ne misuri di più, se invece può dipendere da altri aspetti.
Stefano: Certo, certo, diciamo che, ecco, a quel punto lì identificate delle relazioni si può arrivare a prevedere dei comportamenti sulla base, appunto, di alcuni dati di partenza che presenta il consumatore, di tutte questi tipi di variabili che state indagando.
Sara: Sì, torniamo proprio al punto precedente.
Stefano: Senti, un’altra cosa che mi avevi detto, parlandomi di questo tuo lavoro, dei tuoi studi, e mi hai detto anche che ci sono prodotti che possono piacere allo stesso modo ma suscitano delle emozioni diverse, magari emozioni entrambe positive… mi dicevi, possiamo bere lo stesso vino e io posso avere un’emozione di sorpresa e tu magari di relax? È così?
Sara: Sì. Questo è stato trovato in molti studi, su molte diverse categorie di prodotti – alimentari sempre, sto parlando – dove vale sia il discorso che, per esempio, due vini possono piacere allo stesso modo e anche agli stessi soggetti, però possono essere caratterizzati da emozioni diverse. Cioè, per esempio: a me piacciono questi due vini nello stesso modo e allo stesso livello, ma questo mi suscita questo gruppo di emozioni… questo mi rilassa, così, o questo invece mi dà l’idea di qualche cosa di energetico, pieno di vita, di vitalità. E quindi può riguardare un consumatore davanti a due prodotti.
Stefano: Certo, oppure considerando quanto il consumo del prodotto si stia spostando sull’occasione del prodotto, quindi potrebbe essere interessante definire che appunto, c’è un vino per la sorpresa e il momento di eccitazione, e c’è un vino del relax. Forse sono cose che già, magari in qualche maniera tutti abbiamo provato però, ecco, trovare delle relazioni scientifiche di certo è molto interessante.
Sara: Questo sicuramente. Anche negli studi che abbiamo fatto, abbiamo cercato di mettere in relazione le proprietà sensoriali del prodotto con le emozioni che suscitano questi prodotti, quindi spesso l’emozione di sorpresa è collegata a delle proprietà sensoriali specifiche del prodotto di quella categoria.
Stefano: Quindi se abbiamo un appuntamento galante, non prendiamo un vino che ci dà una sensazione di relax, ecco…
Sara: Eh infatti! Proprio l’emozione… io ho iniziato a lavorare sulle emozioni lavorando solo sul profilo emozionale dei prodotti, mentre ora ultimamente è sempre insieme allo studio del contesto visto che, appunto, l’avevi accennato, sempre si studia il contesto associato a quelle specifiche emozioni e a quel tipo di prodotto, sono dimensioni proprio molto collegate. E sono anche informazioni importanti, che possono essere spese nella comunicazione dei prodotti.
Stefano: Certo, è chiaro, giusto. Senti, ti chiedo invece che tipo di relazione c’è tra questi studi che fate e il mondo imprenditoriale, diciamo, del vino italiano? Cioè, che uso fanno, reale, le aziende di queste informazioni? Per il marketing del vino? Esiste una relazione tra queste ricerche e le aziende? C’è, c’è meno che altrove? Sta cominciando…? Cosa succede in Italia?
Sara: No, certamente sono molto collegate e sono ricerche che sono anche a servizio delle aziende, nel senso che
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