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Potrebbe essere finita qui oppure potremmo trovarci di fronte alla famosa “calma prima della tempesta”: sabato sera l’Iran ha lanciato un attacco verso il territorio israeliano che non ha precedenti nel recente passato. Un attacco con 300 tra droni, missili da crociera e balistici, che però era atteso da giorni, visto che era stato annunciato dal regime iraniano.

Hanno aspettato la fine del Ramadan per rispondere all’attacco di Israele – lo scorso primo aprile - contro la sede diplomatica iraniana a Damasco, in cui sono state uccise 14 persone, tra cui sette membri delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, compresi due alti generali. Dopo sabato sera, per l’Iran la questione è chiusa, ma non lo è per Israele.

Negli ultimi due giorni Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania - solo per citarne alcuni - hanno esortato Israele a non reagire contro l’Iran, avvertendo che una risposta militare potrebbe condurre il Medio Oriente in una spirale di guerra totale. Un secondo gabinetto di guerra in Israele si è concluso ieri e sono state discusse “diverse opzioni” ognuna delle quali rappresenta “una risposta dolorosa” all’attacco di Teheran ma senza scatenare “una guerra regionale”.

Gli scenari possibili sono sostanzialmente due: Israele potrebbe accettare il ‘pareggio’ e tornare alla logica dell’occhio per occhio, ossia a scambi di fuoco circoscritti, non con direttamente con l’Iran, ma con le milizie filo-Teheran in Siria e Libano. Oppure Tel Aviv potrebbe contrattaccare in territorio iraniano, prendendo di mira obiettivi militari e/o strategici, come peraltro preannunciato dall’establishment politico e militare dello Stato ebraico.

Vediamo di capire quale dei due scenari potrebbe essere il più probabile e chi spinge – dentro e fuori Israele – per l’uno o per l’altro. Lo facciamo con tre ospiti:

PAOLA CARIDI, giornalista e saggista da Amman, in Giordania;

MICHELE GIORGIO, giornalista, collaboratore RSI da Gerusalemme;

LORENZO TROMBETTA, collaboratore RSI da Beirut.

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Hanno aspettato la fine del Ramadan per rispondere all’attacco di Israele – lo scorso primo aprile - contro la sede diplomatica iraniana a Damasco, in cui sono state uccise 14 persone, tra cui sette membri delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, compresi due alti generali. Dopo sabato sera, per l’Iran la questione è chiusa, ma non lo è per Israele.

Negli ultimi due giorni Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania - solo per citarne alcuni - hanno esortato Israele a non reagire contro l’Iran, avvertendo che una risposta militare potrebbe condurre il Medio Oriente in una spirale di guerra totale. Un secondo gabinetto di guerra in Israele si è concluso ieri e sono state discusse “diverse opzioni” ognuna delle quali rappresenta “una risposta dolorosa” all’attacco di Teheran ma senza scatenare “una guerra regionale”.

Gli scenari possibili sono sostanzialmente due: Israele potrebbe accettare il ‘pareggio’ e tornare alla logica dell’occhio per occhio, ossia a scambi di fuoco circoscritti, non con direttamente con l’Iran, ma con le milizie filo-Teheran in Siria e Libano. Oppure Tel Aviv potrebbe contrattaccare in territorio iraniano, prendendo di mira obiettivi militari e/o strategici, come peraltro preannunciato dall’establishment politico e militare dello Stato ebraico.

Vediamo di capire quale dei due scenari potrebbe essere il più probabile e chi spinge – dentro e fuori Israele – per l’uno o per l’altro. Lo facciamo con tre ospiti:

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